Gli influencer aumentano ogni giorno di più, ma con loro aumenta anche il disagio e lo stress per una professione che non è così semplice e divertente come sembra.
Influencer e content creator sembrano sempre belli, ricchi e felici. Ma non è tutto oro quello che luccica. Infatti spesso chi fa questo mestiere interrompe bruscamente le comunicazioni con i follower per prendersi un momento di stop a causa di un burnout. Ciò che li attanaglia è un senso di vuoto, apatia e demotivazione proveniente dallo stress lavorativo, dal dover essere sempre in prima linea, sorridente e creativo, perfetto come nessun altro.
La vita online
Il lavoro del creatore di contenuti è un lavoro che nasce e cresce in rete, ovviamente, e più si è online più si creano contenuti e, potenzialmente, più si guadagna. Ma vivere sempre online è difficilissimo: infatti, dovervi svolgere l’attività lavorativa aumenta il senso di sovraccarico, che può tradursi, alla lunga, in burnout.
Quando si lavora in modo professionale sul web, la linea di confine tra sentirsi una persona di successo e sentirsi un fallito è strettamente collegata alla comunità di follower che si riesce a conquistare e che determina la quantità di introiti sul conto del content creator. L’attenzione al numero di follower, di visualizzazioni, di condivisioni e alla viralità di un contenuto possono scatenare enormi livelli di ansia, alti e bassi emotivi in cui dalle stelle si passa, nel giro di pochissimo, alle stalle. Di fronte a un pubblico scarso ci si chiederà che cosa abbiamo fatto di sbagliato (o che cosa abbiamo noi di sbagliato) e la pressione a essere sempre più stimolanti e interessanti aumenterà a dismisura trasformandosi in un carico emotivo non indifferente.
Nessuna garanzia di successo
D’altra parte la viralità di un contenuto non ha sempre a che fare con la sua qualità, quindi spesso i content devono scontrarsi anche con un senso di ingiustizia che risulta molto frustrante. Nel mondo virtuale oggi un contenuto è considerato il top e domani scompare perché già fuori moda. Spesso viene percepita fuori moda addirittura la piattaforma su cui si sta lavorando, vedi Facebook rimpiazzato da Instagram e Instagram rimpiazzato da TikTok.
Anche il rapporto con la cerchia di fan, utenti che diventano ogni giorno più esigenti, è critico: fonte di gratificazione nei momenti in cui ci si trova all’apice del successo, ma anche fonte di disagio emotivo, per non dire dolore, quando arrivano momenti di down. Per non parlare poi del rapporto con gli hater, che non tutti sono in grado di gestire senza intaccare la propria autostima.
Precarietà e rapidità
Gli alti e bassi emotivi e di successo si rispecchiano anche in quelli economici: non è facile avere una progettualità finanziaria, poiché il lavoro del content, in Italia, come qualsiasi lavoro creativo, ammettiamolo, è scarsamente retribuito, se non viene fatto ai massimi livelli (vedi Ferragni). La sottovalutazione e la svalutazione del proprio lavoro, quindi, porta a un’insoddisfazione esistenziale difficile da sostenere. A questo si aggiunge la pressione psicologica di dover creare contenuti nel più breve tempo, per cavalcare le tendenze del momento, tendenze che cambiano rapidamente, come sappiamo. Questa fretta non solo impone una gestione faticosa e ansiogena dei tempi, ma impedisce anche di essere accurati, traducendosi in disinformazione per il pubblico.
Come prevenire il disagio?
Costruire una corretta cultura del lavoro che includa anche questi nuovi lavori, facendoli conoscere anche al grande pubblico dei “boomer”, sarebbe il primo passo da fare. Favorire la tranquillità economica dei liberi professionisti agevolandoli attraverso uno smart working che sia davvero smart e non solo un telelavoro. Insegnare ai giovani, ma anche ai senior, che l’abnegazione totale al lavoro non fa la felicità né, spesso, la ricchezza: avere orari sostenibili e non fondere la vita con la rete e con il lavoro dovrebbe essere la priorità, non un surplus, per preservare la salute mentale di chi lavora in rete.